Negli ultimi anni,
il "boom" delle energie rinnovabili - e in particolare del fotovoltaico
- ha reso particolarmente "di moda" i pannelli fotovoltaici e, nel campo dell'hobbistica, i loro "mattoni costituenti: cioè le celle fotovoltaiche, o celle solari. Così, nei negozi di elettronica o su Internet (digitando su Google espressioni del
tipo "cella solare prezzo"), si possono facilmente acquistare per pochi euro delle celle fotovoltaiche di varie possibili dimensioni, con cui potrete giocare e divertirvi per giorni.
In realtà, oggi sul mercato esistono numerosi kit
e giochi destinati ai ragazzi e che sono incentrati proprio intorno
alle celle fotovoltaiche. Tuttavia noi ne sconsigliamo l'acquisto,
perché - oltre a essere più costosi - non offrono granché di
particolare, e di solito suggeriscono una quantità limitata
di esperimenti non particolarmente attraenti. Invece, una volta che
avrete acquistato una piccola cella solare (anche solo di 10 x 3 cm
circa), praticamente avrete già l'elemento essenziale con cui
realizzare una vasta gamma di esperienze che nel seguito illustreremo
una per una. Saranno poi utili un piccolo motorino elettrico, qualche
led e/o piccola lampadina da pochi volt, uno strumento di misura
(tipicamente un tester digitale, che dovrebbe far già parte
dell'"armamentario standard" di qualsiasi scienziato dilettante), e
poco altro che vedremo caso per caso.
Due esempi dei numerosi kit per ragazzi basati sulle celle solari, e concepiti in genere per scopi parzialmente didattici.
Le
esperienze che proponiamo lasciano allo scienziato dilettante la
ricerca per via sperimentale delle risposte, per non togliergli il
gusto della "scoperta" e avvicinarlo al vero metodo scientifico. In
generale, la scienza progredisce attraverso un iter classico: domande --> ipotesi --> previsioni --> misure sperimentali --> conclusioni.
Anche gli articoli scientifici di ricerca presentano una struttura
grosso modo simile. Pertanto, anche in un ambito all'apparenza
ristretto come quello legato alle celle solari, esistono in realtà
molte variabili e questioni che il dilettante può approfondire con
l'investigazione scientifica, e spesso nuove domande gli verranno alla
mente stimolando nuovi esperimenti.
Una volta che si abbia una domanda su un argomento scientifico ma non
la risposta, il primo passo è quello di formulare un'ipotesi molto
specifica, con le previsioni che ne conseguono, e progettare un
esperimento per metterle alla prova. Dopodiché, occorre svolgere le
osservazioni - cioè compiere l'esperienza pianificata - e raccogliere
una certa mole di dati, per lo più quantitativi, annotando tutto ciò
che può essere utile o poco chiaro. Il passo finale consiste
nell'analizzare i dati (in genere compiendo analisi statistiche,
determinando curve di interpolazione, rilevando discrepanze inattese,
etc.) e trarre le conclusioni, a cominciare da se i dati supportano o
meno la propria ipotesi iniziale. Altre conclusioni possono includere:
una spiegazione di ciò, eventuali critiche all'esperimento, la non
bontà dei dati, la necessità di approfondimenti, etc.
Le
celle fotovoltaiche sono state inventate nel 1954, quando per la prima
volta è stata effettuata nella pratica la conversione della luce in
energia elettrica usando una cella solare al silicio. Se all'inizio le
celle solari erano in realtà poco più di un giocattolo, a partire dal
dal 1958 sono state ampiamente utilizzate come fonte di energia
elettrica sui satelliti, sulle sonde e sulle stazioni spaziali inviate
dall'uomo nello spazio, e oggi le possiamo trovare in numerosi oggetti:
dalle calcolatrici agli zainetti, dai grandi pannelli fotovoltaici alle tende
da campeggio. Una cella solare produce una corrente continua (DC)
- per cui quella prodotta da un pannello fotovoltaico viene trasformata
in corrente alternata (AC) con l'ausilio di un inverter - che può
essere utilizzata direttamente oppure accumulata in una pila
ricaricabile o in una batteria tipo quelle per automobili.
Le celle solari non si basano sull'effetto fotoelettrico osservato per la prima volta da Antoine C.
Bequerel e da suo figlio Alexandre nel 1839, bensì sull'effetto fotovoltaico.
Qual è la differenza fra i due effetti? Entrambi esprimono l'emissione di
elettroni
da parte di una superficie esposta a una
radiazione elettromagnetica, come ad es. la luce
visibile, a seguito del suo assorbimento
da parte del materiale, ma mentre l'effetto fotoelettrico si ha fra due
elettrodi fra cui esiste già una differenza di potenziale (così, quando
un fotone di luce di sufficiente energia colpisce un elettrodo, un
elettrone viene espulso dal guscio esterno di un atomo e può muoversi
verso l'altro elettrodo generando una corrente), l'effetto fotovoltaico
provoca la creazione di una differenza di potenziale fra due elettrodi
che, invece, non ce l'hanno già.
La struttura e il funzionamento di una cella solare. I fotoni di luce incidenti generano un flusso di elettroni e di lacune.
Ecco come funziona una cella fotovoltaica. I
cristalli di silicio hanno 4 elettroni cosiddetti "di valenza" (cioè
appartenenti al guscio esterno dell'atomo, e in grado di legarsi con
altri atomi) legati con gli elettroni di valenza di altri atomi di
silicio. Quando uno strato di silicio "drogato" con atomi (ad
es. di boro) che hanno meno elettroni di valenza del silicio (strato
detto quindi "giunzione p",
o positiva) viene accoppiato con uno strato drogato con atomi (ad es.
di fosforo) che hanno invece più elettroni di valenza (e chiamato
giunzione n),
si crea un campo elettrico, che spinge gli elettroni dagli atomi con
elettroni in più verso gli atomi con elettroni in meno, per cui si crea
una "corrente elettrica", che per definizione non è altro che un flusso
di elettroni. Quando la luce colpisce una cella fotovoltaica, molti
elettroni di valenza si staccano dal legame con altri atomi di silicio
e passano a un livello energetico superiore - detto banda di conduzione
- dove possono contribuire al flusso elettrico unidirezionale, cioè
alla produzione di una corrente. L'energia che la Terra riceve dal Sole si chiama irraggiamento solare, e può essere espressa in unità watt per metro quadrato (W/m2) o chilowattora per metro quadrato (kWh/m2) al giorno. Circa
metà della radiazione solare che arriva sul nostro pianeta viene
riflessa nello spazio. In un giorno sereno, a livello del mare, quando
i raggi del Sole giungono in maniera perpendicolare alla superficie
terrestre, l'irraggiamento è di 1000 W/m2. Poiché
l'efficienza massima di una cella fotovoltaica al silicio commerciale è
grosso modo dell'ordine del 15%, se la cella fosse grande 1 m2,
produrrebbe - in tali condizioni - 150 W. Tuttavia, essendo la Terra
rotonda, il Sole colpisce la superficie con angoli diversi
(compresi fra 0° e 90°): ad angoli più bassi, i raggi solari
attraversano una quantità maggiore di atmosfera e vengono diffusi da
quest'ultima, per cui l'energia che giunge al suolo è minore.
Il
Sole è una sorgente di luce di cui è ben noto lo spettro, cioè la
distribuzione dell'intensità nei vari colori visibili e alle altre
lunghezze d'onda.
La maggior parte delle celle
solari in commercio
producono una tensione di circa 0,6 V o relativi multipli, mentre la corrente
che sono in grado di erogare dipende da vari fattori, ed in
particolare: la dimensione della cella, la quantità di luce che la
colpisce, il tipo di cella fotovoltaica. Esistono
due tipi di celle fotovoltaiche molto comuni, quelle monocristalline e
quelle policristalline:
sono comunque molto simili, e potete usare
uno qualsiasi dei due tipi. In molte applicazioni
pratiche, come ad esempio l'alimentazione di radio o altri dispositivi
elettronici (che di solito richiedono una tensione superiore), si
possono ottenere voltaggi più elevati collegando più celle in serie
fino ad ottenere la tensione desiderata. Se la corrente erogata non è
sufficiente ad alimentare il dispositivo che ci interessa, possiamo
usare delle celle più grandi - cioè dalla superficie più ampia - oppure
collegare più celle in parallelo. I pannelli fotovoltaici
non sono altro che celle solari collegate in serie fino a raggiungere,
di solito, la tensione (a circuito aperto) di 12-15 V.
Tranne un paio di casi in cui occorre misurare la tensione, nella
maggior parte delle esperienze proposte in questa pagina occorre
misurare la producibilità elettrica della cella solare, e lo si fa
misurando la corrente che fluisce in un circuito chiuso comprendente la
cella stessa e un carico, cioè una "resistenza" (oppure,
equivalentemente, misurando la tensione ai capi del carico). Come
carico si può usare il tester stesso, o una resistenza vera e propria
(cioè intesa come componente elettronico), oppure un carico più
tradizionale: un led, un led + resistenza, una piccola lampadina, un
motorino, etc. La scelta di un carico adatto dipende dal nostro scopo e
dalla corrente massima prodotta dalla cella, e dunque dalle sue
dimensioni e dalla massima intensità luminosa della sorgente. In
pratica, in molti casi possiamo determinare sperimentalmente se un
carico è adatto. Può essere comunque utile sapere, per farsi già prima
un'idea, che una cella fotovoltaica - esposta al Sole con
inclinazione ideale - fornisce fino a circa 30-36 mA/cm2.
Un moderno tester digitale che permette di compiere buone misure di tensione, corrente, resistenza, etc.
Un carico è "adatto" se può funzionare senza problemi con la massima
corrente che verrà prodotta dalla cella (quindi con l'intensità
luminosa più forte che misureremo): se il carico non riesce a
sopportarla (la corrente raccomandata per un led, ad es., è di 20 mA),
esso brucia. Al tempo stesso il circuito cella-tester usato per le
misure deve poter rivelare la corrente più debole che dovremo misurare,
ma ciò negli esperimenti proposti non sarà un problema (in altri casi,
un appassionato di elettronica potrebbe usare come carico una
resistenza ai cui capi si crei una tensione di circa 20-25 mV e
amplificare quest'ultima di 100 volte, fino a 1-2 V, con un circuito
operazionale). Naturalmente, la prima cosa che uno scienziato
dilettante farà (ed è una delle esperienze proposte) è assicurarsi che la corrente nel circuito chiuso sia proporzionale all'intensità luminosa.
È possibile effettuare misure relative della producibilità
elettrica anche senza un tester, se possiamo usare un motorino
elettrico (ad es. la ventola di un PC) e un cronometro (oppure
un orologio). Basterà infatti applicare sopra il motorino un
disco di cartone di una decina di centimetri di diametro, sul quale
disegneremo un punto nero ben visibile. Siccome la velocità di
rotazione del motore è proporzionale all'intensità di corrente,
valuteremo quantitativamente tale velocità misurando più volte, con
l'aiuto del cronometro, il numero di giri compiuti dal puntino in 15
secondi e calcolando la media, cioè il valore che useremo nelle nostre
tabelle al posto della corrente. Se poi abbiamo anche la possibilità di
usare un tester, può essere interessante confrontare le curve (e
gli errori di misura) che si ottengono usando entrambi i metodi di
misura.
Se
non avete un tester, potete prendere misure relative dell'energia
prodotta da una cella solare contando il numero di giri di un
motorino nel tempo.
Lo
scopo di questo primo esperimento, utile e interessante
soprattutto per chi ha scarse o nulle nozioni di elettronica, è di
costruire dei semplici circuiti con le celle fotovoltaiche per
familiarizzare con questi oggetti e con le grandezze elettriche ad
esse collegate: in particolare, la tensione misurata
ai capi della cella "a circuito aperto" (cioè in assenza di un carico) e la corrente misurata
"a circuito chiuso", cioè con la cella collegata a un carico: ad es. il tester, un
led, una lampadina, un motorino elettrico, etc.
Esattamente come le pile, le celle solari hanno una loro tensione nominale (misurata
in volt, V) e una corrente
nominale (misurata in ampere, A, o milliampere, mA). La potenza elettrica
(misurata in watt, W), come sempre, è data dalla semplice legge:
Potenza = Tensione X Corrente, ovvero W = V X A. Perciò, se ho una
cella fotovoltaica che ha una tensione nominale di 0,6 V e una corrente
nominale di 160 mA, la potenza elettrica nominale sarà, molto
semplicemente, di 0,6 X 0,160 = 0,1 W. Si noti che la potenza
fornibile da una data cella solare è variabile, poiché dipende da
quanta luce la colpisce, quindi si assume come potenza nominale la
cosiddetta potenza di
picco (misurata in "watt di picco", Wp),
cioè la potenza massima in determinate "condizioni standard" (ad es.,
per i pannelli fotovoltaici, a temperatura di 25° C e con irraggiamento
solare di 1.000 W/mq).
Due celle solari i cui poli positivo (filo rosso) e negativo (filo nero) sono collegabili in serie o in parallelo.
Possiamo quindi provare a misurare con un tester la tensione a circuito
aperto e la corrente a circuito chiuso di una
singola cella solare, dopodiché, annotati i risultati ottenuti, realizzare un circuito con due celle
solari messe in serie
fra loro come mostrato in figura qui sotto (e lasciando invariata la
sorgente di luce e il carico) per vedere le differenze che si ottengono
in tali misure. Poi possiamo mettere le due celle in parallelo
anziché in serie (v. la figura per la disposizione dei componenti nel
circuito) - sempre lasciando
invariata la sorgente di luce e il carico - e notare,
anche in questo caso, cosa cambia numericamente rispetto al caso "cella
singola".
Scopriremo così che le celle solari si comportano esattamente come le
pile messe in serie o in parallelo: se due celle di tensione
nominale V1 e V2 e corrente nominale A1 e A2 vengono montate in serie, la
tensione si somma (cioè Vtotale = V1 + V2) mentre la corrente rimane
costante; se vengono montate in parallelo, la corrente si somma (cioè Atotale = A1 e A2) mentre la tensione rimane
costante. Quindi, nel calcolare la potenza elettrica di due celle in
serie, nella formula W = V X A dovremo usare Vtotale al posto di V, mentre per
calcolare la potenza di due celle in parallelo dovremo usare Atotale al posto di A. In generale,
date due celle solari, la potenza fornita differirà a seconda che siano
usate in serie o in parallelo.
Lo
schema di un circuito con celle solari in serie e di uno con celle in
parallelo. Il tester misura la corrente che circola nel circuito chiuso.
Domande
per lo scienziato dilettante: la
tensione e la corrente di una cella singola sono esattamente uguali per
ogni cella - sia pure della stessa marca e modello - o vi sono
differenze che rientrano in certe tolleranze industriali? Nei circuiti
in serie, le tensioni si sommano e la corrente rimane costante
esattamente come previsto dalla legge teorica o nella realtà si
discostano leggermente? Ed è più grande la potenza elettrica di due
celle in serie o in parallelo? A voi la risposta attraverso la
verifica sperimentale!
Una
seconda serie di esperimenti che si possono compiere con una
cella fotovoltaica è di tipo più fisico-matematico: si tratta, cioè, di
studiare - ricavando sperimentalmente la legge sottostante - come la quantità di luce
influenza la produzione di elettricità di una cella. E la quantità di
luce può essere variata essenzialmente in due modi: variando la
distanza tra la sorgente (di potenza costante) e la cella fotovoltaica
oppure, al contrario, tenendo fissa quest'ultima distanza
e variando la potenza della sorgente.
I due elementi fondamentali dei nostri esperimenti di questa pagina: una sorgente di luce e una piccola cella fotovoltaica.
Per compiere questa esperienza, potete porre la cella fotovoltaica sul
tavolo insieme a una lampada: in pratica, collocare lampada
sopra e cella sotto o, meglio ancora, sistemare la lampada in modo che illumini in
orizzontale e porre la cella alla stessa altezza sul tavolo, con distanza
quindi facilmente regolabile. Dopodiché, una volta fissata la distanza
iniziale fra la lampada e la cella, occorre misurare tale distanza e
misurare la corrispondente corrente prodotta dalla cella solare a
circuito chiuso. A questo punto si
può progressivamente ridurre la distanza originale, ad esempio prima di
1/4, poi di 1/2 e infine di 3/4 (ma è possibile usare un "passo" più
piccolo, ad es. di 1/10) e ripetere ogni volta le misure di distanza e
corrente prodotta, che possono essere riassunte in una tabella di un
foglio elettronico come Excel
tipo quella mostrata qui sotto.
Tabella 1. Effetto della
distanza sulla produzione elettrica.
Distanza
Corrente
1
1/2
3/4
Riportando le misure ottenute su un grafico distanza-corrente (cioè
con in ascissa la distanza d
fra cella e sorgente ed in ordinata la corrente prodotta
dalla cella), potete determinare sperimentalmente la legge che descrive
il fenomeno "effetto della distanza sulla producibilità elettrica di
una cella solare". Scoprirete, così, se si tratta di una legge lineare
(1/d), di potenza (1/d2), cubica (1/d3),
o
di altro tipo. Oppure, se avete già un'idea del possibile tipo di
curva, potete verificare che sia quella da voi prevista. Se vi
piace la matematica, potete inoltre divertirvi a trovare
l'equazione della curva che approssima meglio i vostri dati
sperimentali, ad es. usando il cosiddetto "metodo dei minimi quadrati" (Excel può aiutarvi
in questo). A quel punto, sarete in grado di dare una stima accurata
del valore della corrente per nuove distanze diverse da quelle
note.
Vari tipi di lampade a incandescenza. Oggi sono sempre più sostituite da lampade a risparmio energetico.
L'altro modo per studiare l'effetto della potenza della sorgente è
quello di usare sorgenti di potenza diversa nota, in pratica
almeno 4 lampadine di potenza differente: ad es. 25W, 40W, 60W, 100W,
200W. In realtà, la quantità di luce che arriva da una sorgente
luminosa su una porzione di sfera incentrata sulla sorgente si misura
in lumen,
tuttavia, poiché c'è una relazione tra questa e la potenza assorbita
dalla lampadina, possiamo tranquillamente usare quest'ultima come
parametro. Pertanto, annoteremo in una tabella la
potenza della lampadina utilizzata e la misura della corrispondente
corrente prodotta dalla cella. Dopodiché, di nuovo, cercheremo la curva
- cioè la legge matematica - sottostante.
Tabella 2. Effetto della potenza della sorgente sulla produzione elettrica.
Potenza sorgente
Corrente
25 W
40 W
60 W
100 W
200 W
Domande
per lo scienziato dilettante: La legge distanza-corrente da voi determinata sperimentalmente vale
anche quando la sorgente è molto debole o molto forte,
cioè quando la lampadina è assai lontana o vicina alla
cella? Provate a misurare la corrente della cella usando varie
lampadine di uguale potenza in watt ma di produttori diversi:
trovate gli stessi valori di corrente? Cambia (e se sì, come) la legge distanza-corrente usando lampadine che dirigono la luce con riflettori o lenti? A
voi la risposta sperimentale!
Un
esperimento prettamente di tipo fisico è invece lo studio dell'effettodella lunghezza d'onda della luce incidente sulla producibilità
elettrica di una cella solare. Infatti, esso si ispira direttamente
alla legge sull'effetto fotoelettrico formulata da Albert Einstein all'inizio
del secolo scorso e che gli fruttò il Nobel. Dunque, eseguire
l'esperienza che proponiamo è un po' come vestire i panni del fisico e
provare a verificare sperimentalmente, a casa propria, se vale anche per l'effetto fotovoltaico
- che, come visto all'inizio dell'articolo, è diverso da quello
fotoelettrico - quanto sostenuto in modo dettagliato da Einstein nel
formulare una delle teorie che hanno
fatto la storia di questa disciplina.
In uno dei 4 famosi articoli pubblicati da Einstein nel 1905 sulla
prestigiosa rivista Annalen der Physik
(comprendenti quelli sulla Relatività, altrettanto meritevoli del
Nobel), basandosi sulla teoria di Max Planck sulla cosiddetta radiazione del corpo nero,
quello che sarebbe diventato il più grande scienziato dell'era moderna
propose che l'energia della radiazione elettromagnetica non è
distribuita su un fronte d'onda continuo, bensì in piccoli "pacchetti"
(chiamati in seguito fotoni).
L'energia di un fotone (E)
è, secondo Einstein, associata con la sua frequenza (v) attraverso una
costante di proporzionalità (chiamata h, la quale ha a
che fare con la meccanica quantistica), per cui: E = costante x v. Donde il famoso
"dualismo onda-corpuscolo", poichè una radiazione elettromagnetica di
frequenza v
può essere vista anche come un flusso di fotoni di energia E = h x v.
Lo
spettro elettromagnetico, con la finestra del visibile. Ricordiamo che
la lunghezza d'onda è inversamente proporzionale alla frequenza.
Secondo la teoria di Einstein dell'effetto fotoelettrico, il "fotone"
può strappare un elettrone a un metallo (che in tal caso chiameremo fotoelettrone) se
la sua energia - cioè la frequenza della radiazione elettromagnetica
associata - è abbastanza grande da superare la "funzione di lavoro" del
metallo (phi).
Se l'energia, ovvero la frequenza della radiazione, è troppo bassa, non
si creano fotoelettroni. Se comunque l'energia è superiore alla soglia
citata, l'energia in eccesso si trasforma in energia cinetica del
fotoelettrone. Dunque, la teoria indica che: (1) una luce di bassa
frequenza, inferiore cioè a una soglia ben precisa, è incapace di
strappare elettroni a un metallo, e perciò non produce fotoelettroni;
(2) raddoppiare l'intensità della luce raddoppia il numero di fotoni, e
quindi di fotoelettroni creati, ma non cambia l'energia
cinetica raggiunta da questi ultimi.
Risulta perciò interessante, per lo scienziato dilettante, provare a
studiare sperimentalmente cosa succede con una cella solare, che
non è basata sull'effetto fotoelettrico (il quale di solito è realizzato con
elettrodi metallici posti in un tubo a vuoto) ma sull'effetto fotovoltaico:
si applica, dunque, ad una cella al silicio - il quale fra l'altro non è un metallo -
la teoria di Einstein sull'effetto fotoelettrico? Cioè, anche per
una cella fotovoltaica la luce di certe frequenze produce
elettricità mentre quella di altre frequenze no? Infatti, una cella
fotovoltaica non è una "cellula fotoelettrica" (cioè un tubo a vuoto
contenente due elettrodi di metallo di cui uno, il catodo, emette
elettroni quando è esposto alla luce), ma è un dispositivo almeno
all'apparenza diverso, basato su una giunzione p-n di materiali
semiconduttori "drogati", su una banda di conduzione, etc.
La
nostra cella solare e (a destra) i fogli di plastica trasparente,
acquistabili presso qualsiasi cartoleria, utilizzabili come filtro.
Per analizzare la cosa, allestito un apparato sorgente-cella solare,
copriamo la cella con fogli trasparenti colorati di diversi colori,
ovviamente mettendone uno alla volta: ad es., blu, verde, giallo,
rosso, etc. Tali fogli costituiscono una sorta di semplici filtri che
lasciano passare la luce del colore ad essi corrispondente, ed il
colore diverso è associato a frequenze diverse della radiazione
elettromagnetica corrispondente. Come sorgente è opportuno usare la luce solare, poiché
essa include in modo ben noto tutti i colori dello spettro
visibile. Al solito, misuriamo la corrente della cella
solare a circuito chiuso e riportiamo i valori ottenuti per ogni colore
del filtro usato, nonché senza filtri, in una tabella come quella
mostrata qui sotto. Dopodiché, in base ad essi traiamo le conclusioni.
Esistono dei colori che non lasciano produrre (o quasi) corrente alla
cella? E se sì, quali?
Tabella 3. Effetto della lunghezza d'onda della luce sulla produzione elettrica.
Colore del filtro
Lunghezza d'onda (nm)
Corrente
Luce bianca (nessun filtro)
390-780
Violetto
390-455
Blu
455-495
Verde
495-575
Giallo
575-600
Arancione
600-625
Rosso
625-780
Domande per lo
scienziato dilettante:
Cosa cambia nei risultati se, al posto del Sole si usa una lampadina a
incandescenza o una lampada fluorescente compatta? E se si
usa una lampada alogena? Cambia
qualcosa se analizziamo l'effetto della lunghezza d'onda usando invece,
come sorgente di luce colorata (quindi, senza filtri), dei led colorati
ad alta luminosità? Ritornando all'esperimento originale... la
tensione a circuito aperto della cella solare a circuito aperto è influenzata (e , se sì,
quanto) dal colore della luce incidente sulla cella?
Un'intera
classe di esperimenti interessanti effettuabili con le celle
solari nasce dal considerare la cella una sorta di pannello
fotovoltaico in miniatura (in realtà, il pannello è composto
solitamente da alcune decine di celle collegate in serie). È così
possibile divertirsi a studiare, con solo 1-2 piccole celle solari,
quanto alcuni fattori incidono sulla producibilità elettrica di una
cella (e quindi di un pannello fotovoltaico): ombreggiamento
parziale, inclinazione rispetto alla radiazione incidente, polvere
depositata, etc.
Quanto si riduce l'elettricità prodotta dal fotovoltaico a causa di ombreggiamenti, condizioni atmosferiche, inquinamento?
Per studiare l'effetto dell'ombreggiamento, si può cominciare con una
singola cella e misurare come varia la corrente a circuito chiuso
coprendo progressivamente la cella con un cartoncino tipo biglietto da
visita. Ad es., possiamo coprire prima 1/4 della superficie, poi 1/2,
3/4 e infine l'intera cella. Dopodiché, possiamo connettere due celle
in serie e vedere cosa succede se copriamo completamente una sola cella
o entrambe le celle, misurando al solito la corrente che circola nel
circuito chiuso. Poi, possiamo ripetere tale esperienza con due
celle collegate in parallelo. Potremo in questo modo compilare una
tabella Excel
come quella qui sotto e trarre delle istruttive conclusioni.
Tabella 4. Effetto dell'ombreggiamento sulla produzione elettrica.
Tipo di circuito
Quantità di copertura
Corrente
Cella singola
Nessuna ombra
Cella singola
1/4 coperto
Cella singola
1/2 coperto
Cella singola
3/4 coperto
Cella singola
Tutta coperta
2 celle in serie
Nessun ombra
2 celle in serie
1 cella coperta
2 celle in serie
2 celle coperte
2 celle in parallelo
Nessun ombra
2 celle in parallelo
1 cella coperta
2 celle in parallelo
2 celle coperte
Come cambia la producibilità elettrica in funzione dell'inclinazione rispetto alla sorgente?
Non
è difficile
immaginare che la corrente prodotta dalla cella solare sarà massima
quando la cella è perpendicolare alla radiazione incidente (per tale
ragione, negli impianti fotovoltaici installati sul terreno i pannelli
solari vengono montati inclinati di circa 30° rispetto al suolo),
mentre aumentando l'angolo formato dalla cella con la sorgente di luce
la corrente diminuirà, perché in questo modo diminuisce la radiazione
elettromagnetica che la colpisce. Potete divertirvi a misurare la
corrente a circuito chiuso aumentando l'angolo di inclinazione della
cella, con un passo di 15° alla volta, rispetto alla perpendicolare
della sorgente (ad es. il Sole o una lampada da tavolo), compilando la
tabella qui sotto. Con i dati ottenuti, potrete disegnare con Excel un grafico
angolo-corrente, nonché aggiungere alla tabella una terza
colonna con il calcolo del calo percentuale.
Tabella 5. Effetto dell'inclinazione rispetto alla luce sulla produzione elettrica.
Angolo rispetto alla perpedicolare con la sorgente
Corrente
0° (cioè puntata verso la sorgente)
15°
30°
45°
60°
75°
90°
Infine, possiamo divertirci a studiare gli effetti su una cella prodotti
dalla polvere, o magari anche da altri fattori (neve, inquinamento,
etc.), o anche semplicemente del mettervi sopra un vetro (o una lastra
di plexiglass) trasparente, che è il tipo di substrato che ricopre le
celle in un pannello fotovoltaico. Mentre la polvere è facile da
prodursi in maniera naturale o
accelerata (ad es., soffiando in aria un po' di farina e aspettando che
si depositi), possiamo sostituire la neve con del ghiaccio triturato e
l'inquinamento industriale del cielo o la nebbia con del fumo di
sigaretta più o
meno concentrato. Come sempre, misureremo la variazione della corrente
prodotta dalla cella solare a circuito chiuso al crescere graduale del
fattore perturbante. Ormai dovreste essere in grado di creare da voi la
necessaria tabella Excel
in cui raccogliere i risultati delle misure.
Domande per lo
scienziato dilettante:
Provate a studiare con la semplice cella fotovoltaica i vari effetti
che di solito influiscono sulla producibilità di un impianto
fotovoltaico. Se lasciate la cella al suolo sotto il Sole dalle 6 di
mattina fino alle 22 di sera, che curva ottenete per la corrente
prodotta e da voi misurata ogni ora? E' diversa da quella ottenuta in
laboratorio con una lampada? Analizzate il problema della lunghezza dei
cavi elettrici fra la cella e il carico: quanto influisce
sull'efficienza dell'intero sistema?
Nella rubrica "The Amateur Scientist" della famosa rivista Scientific American, tenuta per molti anni - a partire dal 1955 - dall'ingegnere elettronico C.L. Stong e poi sfociata in un suo libro di successo (Lo scienziato dilettante,
Sansoni, 1961), venivano proposti numerosi sofisticati progetti che
prevedevano l'utilizzo di celle solari come sensori di luce: ad
esempio, un sismografo a torsione (un progetto oggi superato anche
a livello amatoriale dai sismografi elettronici con altri tipi di
sensori) e un apparato che permettesse a un telescopio l'inseguimento
automatico della stella inquadrata (anche questo è superato da
dispositivi più moderni). Ho raccontato ciò per sottolineare il
grosso ruolo che le celle solari hanno avuto, e possono ancora avere,
nel laboratorio dello scienziato dilettante, sia pure in altri tipi di
apparati rispetto a quelli di cui abbiamo appena fatto cenno.
Le
celle solari, ad esempio, possono essere usate per far suonare un
campanello in un sistema di allarme, per aprire una porta, per far
partire un motore, etc. Il sistema può venire progettato in modo da
rispondere alla luce (magari attivando un relé che chiuderà il
circuito, realizzando l'azione voluta: accensione di una luce, di un
motore o quant'altro) oppure, al contrario, da essere sensibile alla
sua rimozione (un po' come con le vecchie fotocellule,tubi a vuoto sensibili alla luce, tanto da essere stati usati - sotto forma di sofisticati fotomotiplicatori
- nei telescopi per la fotometria di corpi celesti, ma che
ora non si usano quasi più). Un grande vantaggio delle celle
solari rispetto ad altri tipi di sensori di luce è che con esse risulta
piuttosto facile realizzare circuiti e progetti, che sono
sostanzialmente di tipo elettrico, senza
necessità di complesse nozioni di elettronica.
Un vecchio fototubo. Simile a una valvola, questa cella fotoelettrica fa ormai parte della storia dell'elettronica.
Naturalmente,
le celle solari sono solo uno dei vari tipi di sensori di luce (cioè di
radiazione elettromagnetica nella regione del visibile) presenti sul mercato, chiamati "fotorivelatori", e che comprendono anche: fotodiodi, diodi speciali (oppure led, più sensibili al colore che emettono) i quali possono operare in modalità fotovoltaica o fotoconduttiva; fotoresistenze,
componenti basati su semiconduttori che diminuiscono la propria
resistenza all'aumentare della quantità di luce, per cui sono un po' la
versione moderna a stato solido dei vecchi fototubi a vuoto - cioè
delle "celle fotoelettriche" - e sono impiegati in allarmi,
illuminazione stradale, etc.; fototransistor, transistor
sensibili alla luce (in genere, a quella infrarossa) più del fotodiodo,
grazie all'effetto di guadagno del transistor;sensori CCD, usati nelle fotocamere e in astronomia, e adatti per catturare deboli immagini.
Tre comuni tipi di fotorivelatori: le fotoresistenze (a sinistra), i fotodiodi (al centro), i fototransistor (a destra).
Le celle solari al silicio, essendo basate sulla fisica dei semiconduttori p-n, sono sostanzialmente dei fotodiodi a
giunzione p-n, solo con una vasta superficie sensibile alla luce
(analogamente, fotodiodi e led si possono considerare delle celle
solari in miniatura). Pertanto, oltre che per la produzione di energia,
le celle solari possono essere usate in applicazioni simili a quelle
per cui vengono impiegati i fotodiodi (con una risposta più lineare
rispetto alle fotoresistenze): allarmi perimetrali, sensori antifumo, trasmissione di segnali, regolazione di luce, illuminazione stradale, etc.
In genere, i vari tipi di fotorivelatori si differenziano per la
porzione di spettro elettromagnetico che sono in grado di rivelare e
per l'intensità luminosa minima che riescono a misurare, oltre che per
il rapporto segnale/rumore e il tempo di risposta.
Un fotometro è un
dispositivo che misura l'intensità della luce. Può essere quindi utile
per vari esperimenti di uno scienziato dilettante ma anche per
l'illuminotecnica, la fotografia, etc. In base alla propria abilità ci
sono diversi tipi di fotometro che uno può autocostruirsi. Uno dei modi più
semplici per realizzare un fotometro è quello di usare una cella solare e di misurare, al
solito, la corrente che percorre il circuito chiuso.
Naturalmente, se si vogliono misure assolute e non relative, occorre
calibrare il fotometro con delle sorgenti di potenza nota. Certo,
possiamo costruire un fotometro improvvisato oppure
un apparato più
curato, ma in ogni caso il divertimento è garantito.
La sezione "Effetto della distanza e potenza della sorgente" può
servire come spunto per la calibrazione del fotometro e l'uso per
semplici esperimenti. Infatti, possiamo misurare la corrente elettrica
che si produce illuminando la cella con varie lampadine di potenza (in
watt) nota, ed interpolare/estrapolare i dati così ottenuti per
misurare la quantità di luce da lampadine di potenza sconosciuta.
Possiamo, ad esempio, tarare l'apparato usando tutte lampadine a incandescenza di
diversa potenza e poi misurare la quantità di luce prodotta da
lampadine fluorescenti
compatte, da lampadine alogene, etc.: è
quella che ci aspetteremmo in base alla loro potenza nominale in watt?
Misurate sempre la "luce bianca", cioè sull'intero spettro di frequenze
della luce senza usare filtri, che esalterebbero le differenze di
spettro esistenti fra tipi diversi di lampadine/sorgenti.
Le comuni lampadine fluorescenti compatte hanno realmente la luminosità che dichiarano?
Un fotocolorimetro è,
invece,
uno strumento che consente di determinare - o quanto meno confrontare -
l'intensità della luce in specifiche componenti di colore,
misurate una alla volta. Anche l'occhio umano è una sorta di
colorimetro, ma se si vogliono confrontare le intensità dei vari colori
di una sorgente di luce in modo quantitativo (ad es. se si vuole
misurare l'intensità dei vari colori nello spettro di una lampada a
incandescenza e, per confronto, nella luce riflessa da un foglio bianco
illuminato con la stessa lampada) occorre usare un fotorivelatore e dei
filtri, come nell'esperienza "Effetti della lunghezza d'onda
della luce". Il fotocolorimetro può essere impiegato anche per misurare
l'assorbimento di particolari lunghezze d'onda della luce da parte di
una soluzione: ciò permette di determinare la concentrazione di un
soluto noto in una data soluzione.
Per
calibrare lo strumento, illuminate con la luce solare (in quanto
sorgente di cui è noto lo spettro, cioè l'intensità nei vari colori)
una cella solare su cui è posto un foglio trasparente colorato (ad es.
rosso, giallo, verde, blu, etc.), dopodiché misurate la
corrente della cella per quel determinato colore. Ripetete
l'operazione con filtri di vari colori. Ora avete calibrato i rapporti
fra le varie bande di colore per la luce bianca solare, che vi
serviranno come riferimento per analizzare, terminata la calibrazione,
un'eventuale luce "incognita". Potreste fare la calibrazione in modo
all'apparenza migliore usando led colorati ad alta luminosità (in
particolare, con i tre colori fondamentali del sistema RGB: rosso,
verde, blu), ma in tal caso alcuni colori verrebbero misurati in modo
non corretto poiché i led producono solo singoli colori (vedi la figura qui sotto), non bande di colore.
Alcuni
led colorati e (a destra) lo spettro di emissione di un led. Si noti
come i led emettano in una ristretta banda di colore dello spettro.
Domande per lo
scienziato dilettante: Se, oltre alla quantità di luce
delle lampadine di taratura, misurate quella di una candela, potete
esprimere la luminosità delle stesse in unità "candele"?
L'uscita del vostro fotometro è lineare, cioè se raddoppia la quantità
di luce della sorgente raddoppia anche la corrente misurata? Se
qualcuno vi illumina il fotometro con tre diodi
(rosso, verde, blu) ma senza mostrarvi in che sequenza, misurando
ogni volta la corrente con vari filtri sapete dire, alla fine,
quale sequenza ha usato?
Un densitometro a trasmissione
è un dispositivo che misura la densità ottica di un materiale
semitrasparente. Fondamentalmente, è composto da una sorgente di luce
diretta verso un sensore di luce, quale ad es. una cellula
fotoelettrica o un fotodiodo, con il campione da analizzare posto fra
sorgente e sensore, e misura la densità del campione attraverso la
differenza nelle letture. Noi possiamo tranquillamente utilizzare come
sensore di luce una cella solare, in modo simile a quanto fatto per il
fotometro.
Un densitometro può essere utile, per lo scienziato dilettante, in
numerosi esperimenti di biologia, ma il principale è, senza dubbio,
quello dello studio quantitativo delle colture batteriche. Si dà il
caso, infatti, che lo sviluppo di colonie batteriche (con
il moltiplicarsi dei batteri, mentre alcuni muoiono)
all'interno di un brodo di coltura tenda ad aumentare la torbidità di
quest'ultimo, e quindi a ridurre la sua trasparenza. Poniamo quindi, ad
es., di voler studiare come la crescita di colonie di batteri
all'interno di una provetta contenente un brodo di coltura sia inibita
dall'uso di un particolare antibiotico o di diversi tipi. In realtà,
useremo due provette: in una aggiungeremo l'antibiotico e nell'altra
no, per misurare le differenze. Per entrambe effettueremo a intervalli
di tempo precisi una misura della torbidità - e quindi del grado di
sviluppo delle colonie - con il densitometro.
Un esempio di coltura batterica. Si nota la presenza di numerose colonie di batteri diversi.
In effetti, la stima delle popolazioni batteriche può essere effettuata
principalmente in due modi che permettono di misurarne la
concentrazione. Il primo è il conteggio statistico dei batteri
coltivati nel brodo di coltura posto in una capsula di Petri,
che dà informazioni sui soli batteri vivi e che si effettua attraverso
una procedura di diluizione e di conteggio abbastanza complessa e
laboriosa. Il secondo metodo è la misura della densità ottica di
sospensioni batteriche con l'aiuto di un densitometro a trasmissione.
Il densitometro fornisce informazioni sia sui batteri vivi che su
quelli morti, per cui in teoria è più utile per monitorare in dettaglio
le prime fasi di sviluppo della colonia, ma uno strumento amatoriale
non è sensibile a popolazioni di batteri inferiori a 10 milioni di
cellule/ml. Può essere quindi interessante confrontare fra loro i
grafici delle misure ottenute con i due metodi.
Schema
di un densitometro autocostruito. In alternativa, si può non usare la
lente e inserire un foglio di carta fra provetta e cella.
L'apparato che forma il densitometro a trasmissione autocostruito
consiste di una lampada e di una lente che serve a focalizzare il suo
raggio di luce nella direzione della provetta. Dalla parte opposta
della provetta viene poi sistemata la cella solare che riceve, in
sostanza, quella porzione della luce inviata alla provetta dalla
lampada e che riesce ad attraversare la provetta stessa, vincendo
l'opacità che può esservisi prodotta. Un microamperometro (in
pratica, un tester) va collegato in serie alla cella solare e al carico
allo scopo di fornire una misura esatta della corrente prodotta dalla
luce. È possibile quindi tracciare una sorta di diagramma della
variazione della torbidità in funzione del trascorrere del tempo e, al
termine dei rilevamenti, si avrà una curva indicante - nel nostro
esempio di esperimento - l'attività batteriostatica
dell'antibiotico.
Tabella 6. Effetto della
distanza sulla produzione elettrica.
Distanza
Corrente
Senza colonie batteriche
Dopo X ore dalla coltivazione
Dopo 2X ore
Dopo 3X ore
Dopo 4X ore
Domande per lo
scienziato dilettante: Provate a usare più provette e ad
aggiungere a ognuna una diversa concentrazione di antibiotico per
vedere le differenze negli effetti. Cosa succede se si usano
antibiotici di tipo diverso? Se coltivate solo una specie di
batteri, essa può subire delle mutazioni sino a diventare resistente
all'azione dell'antibiotico, che magari in partenza aveva su di essa
conseguenze letali: siete in grado di "osservare" questo fenomeno con
l'apparato e la procedura appena descritti?
Le celle solari (e
dunque anche i pannelli fotovoltaici) sono abbastanza sensibili alla
temperatura, che ne influenza l'efficienza di conversione della luce in
elettricità. Pertanto, sebbene esistano molti altri sistemi
utilizzabili da un dilettante per la misura della temperatura, possiamo
sfruttare questo effetto per usare una cella solare come accurato
sensore di temperatura su un ampio intervallo di temperature e,
previa una nostra taratura sperimentale dell'apparato, come termometro elettronico
(ad es. per monitorare in tempo reale un esperimento, acquisendo i dati
con il tester o direttamente con un PC dotato di scheda ADC, cioè di un
convertitore analogico-digitale).
Per dare un'idea quantitativa del fenomeno, si consideri che la
tensione a circuito aperto di una cella al silicio varia di circa 2,3
mV/°C, il che fra l'altro può portare a un rilevante cambiamento delle
caratteristiche operative della cella a cominciare dalla sua efficienza (se l'aumento di temperatura della cella è elevato, la potenza elettrica fornita si riduce notevolmente),
il che permette, in linea di principio, di usare una cella di un
pannello fotovoltaico come sensore di temperatura del pannello. Se la
temperatura della cella diminuisce, la corrente a circuito chiuso rimane sostanzialmente costante, ma la tensione a
circuito aperto (VOC) aumenta. La riduzione dell'irraggiamento della cella da, ad es., 1000 W/m2 a 100 W/m2 produce una variazione inferiore di VOC (sia pure inferiore al 5%), ma possiamo trascurare tale effetto se l'illuminazione della cella è costante.
Un
esempio di risposta Tensione-Temperatura di una cella solare (misurata
sulla stessa cella per tre valori diversi di corrente).
Per
misurare l'effetto della temperatura sull'efficienza di una cella
solare, dobbiamo fare un tipo di collegamento e di misura diversi da
quelli impiegati nei precedenti esperimenti. Infatti, questa
volta occorre misurare la tensione ai capi della cella a circuito
aperto. Pertanto, useremo il tester come voltmetro e collegheremo il
cavo rosso del voltmetro al polo positivo (cioè al cavo rosso) della
cella, e il cavo nero al polo negativo. Dopodiché occorre porre un
termometro accanto alla cella, in modo che sia riscaldato dalla
sorgente allo stesso modo di quest'ultima. Possiamo usare un comune
termometro, ad es. al mercurio, meglio se da laboratorio per la sua graduazione più fine. Il coefficiente termico per i pannelli fotovoltaici mono- o policristallini è
dello 0,5% /°C, cioè l'efficienza del
pannello cala del 5% ogni 10°C di temperatura più alta o bassa di quella
standard di 25°C.
La nostra cella solare e (a destra) un preciso termometro ad alcool da laboratorio, con tacche da 1° C ciascuna.
La
procedura di raccolta delle misure è piuttosto semplice. Misuriamo il
voltaggio della cella alla temperatura ambiente della stanza o alla
temperatura esterna e registriamo i valori di tensione e temperatura su
una tabella come quella qui sotto. Dopodiché, lasciamo la cella per un
certo tempo sotto il Sole o una lampada, in modo che si riscaldi.
Annotiamo i nuovi valori. Per raggiungere una temperatura più alta,
riscaldiamo contemporaneamente cella e termometro con un phon per 15
secondi. Dopo aver registrato le nuove misure, ripetiamo la procedura
riscaldando per 30 secondi, e dopo le ennesime
misure ancora per un minuto (ovviamente bisogna essere veloci
nel leggere il più possibile in maniera simultanea i valori di
temperatura e tensione). Infine, riportiamo tutti i dati su un grafico temperatura-tensione per ricavare la curva sperimentale cercata.
Tabella 7. Effetto della temperatura della cella sulla produzione elettrica.
Condizioni di misura
Temperatura
Tensione
A temperatura ambiente e all'ombra
Piena luce calda del Sole
Dopo un riscaldamento di 15 secondi
Dopo un riscaldamento di 30 secondi
Dopo un riscaldamento di 1 minuto
Domande per lo scienziato dilettante: Per valutare in maniera empirica gli errori sperimentali, ripetete
altre due volte l'identica sequenza di tutte le misurazioni: i nuovi
valori ottenuti quanto si discostano dai precedenti? Come e di quanto
variano i risultati se non ci preoccupiamo di tenere costante
l'illuminazione della cella? Nell'arco della giornata misurate la
temperatura esterna con l'apparato tarato nel modo da noi
descritto e ricavate un grafico della temperatura nel tempo:
quanto risulta sensibile il termometro elettronico?
Se il
vostro scopo è quello di divertirvi più che di produrre elettricità,
potete provare a realizzare un pannello
fotovoltaico a concentrazione in miniatura, o meglio
il "mattone base" di un pannello a concentrazione in scala 1:1, e che in un
singolo pannello reale è presente in decine di unità. Nei pannelli a
concentrazione si usa un dispositivo ottico (tipicamente una lente
oppure uno specchio quasi parabolico) per concentrare la luce su una piccola
cella solare al silicio, in modo da risparmiare sul silicio
cristallino, che è molto costoso. In realtà, nei veri pannelli a
concentrazione - o comunque per concentrazioni della luce solare
superiori a 10 X - si usano celle solari multigiunzione, che
resistono (e producono più corrente) alle alte temperature, ma noi
possiamo tranquillamente usare una normale cella al silicio mono- o
policristallino: al massimo la bruceremo!
Un pannello a concentrazione con ottica a specchi e la sua unità fondamentale.
Un'esperienza realizzabile potrà essere quella di misurare
l'aumento di corrente prodotta a circuito chiuso da una cella
solare concentrandovi sopra la luce solare con una lente di
ingrandimento. Naturalmente, scelta la distanza a cui vogliamo
collocare la lente fra la cella e la sorgente (Sole o lampada da
tavolo), dobbiamo coprire la cella con un cartoncino in cui
praticheremo un foro di dimensioni pari a quelle del cerchio di luce
concentrata che la lente produrrà chiaramente sulla cella: in questo
modo, potremo misurare realmente quanto è l'aumento di producibilità
elettrica di una determinata superficie fotovoltaica se vi concentriamo
la luce di un ben preciso fattore "X". Un secondo livello di analisi potrà
consistere nello studiare come aumenta la producibilità elettrica della
cella (in pratica, la solita corrente) al variare del fattore di
concentrazione della luce.
Il fattore di
concentrazione della luce solare dipende dal rapporto fra
la superficie di lente o di specchio utilizzata per concentrare i raggi
solari e la superficie fotovoltaica realmente usata per produrre
elettricità. Per stimare in maniera grossolana il fattore di
concentrazione, quindi, misuriamo l'area della lente o dello specchio:
se ad es. lo specchio ha un diametro di 10 cm, la sua area sarà
"(raggio)2 X pigreco", cioè 52
X 3,14 = 78 cm2 circa. Se la superficie di cella
solare su cui la luce viene concentrata è di 1 cm2,
il fattore di concentrazione è dato dalla formula AREAsuperficie
di raccolta della luce /AREAsuperficie
fotovoltaica utilizzata = 78 / 1 = 78, cioè il
fattore di concentrazione è di circa "80 X", come si dice in gergo.
Naturalmente, poiché la superficie della cella ostruisce parte della
parabola, dovremo sottrarre tale area nel calcolo dell'area dello
specchio.
Se vogliamo realizzare una struttura permanente, può risultare più
semplice concentrare la luce con uno specchio parabolico anziché con
una lente. Di solito, nei pannelli reali si usa un'ottica di tipo Cassegrain, per cui
uno specchio posto nel fuoco della parabola devia i raggi verso una
cella posta dietro la parabola stessa. Noi, però, possiamo mettere la
cella nel fuoco (troveremo la distanza ideale variandola e misurando la
corrente prodotta), rivolta verso la parabola. Lo specchio parabolico
può essere realizzato con della carta stagnola (con il suo
lato più riflettente, usandone più strati o con l'ausilio di un
substrato di supporto), modellandola fino a darle una forma parabolica.
Il
percorso della luce quando usiamo una lente (normale o di Fresnel) o
uno specchio parabolico (normale o con ottica Cassegrain).
Naturalmente, va sottolineato che nel realizzare questa esperienza
occorre usare, a un certo punto, una particolare attenzione. Infatti,
nel fuoco della lente o dello specchio parabolico utilizzati
la luce solare è concentrata a sufficienza da poter provocare
ustioni, se pensiamo che già con una lente di ingrandimento di pochi
centimentri di diametro è possibile dar fuoco facilmente a un foglio di
carta. Dunque, bisogna tenere alla larga dita o
altre parti del corpo dalla luce concentrata. Per lo stesso motovo,
sconsigliamo di utilizzare o realizzare ottiche a
concentrazione superiori a un diametro di 10 cm, a meno
che realizziate l'esperienza con la supervisione di
un adulto.
Gli appassionati
del fai-da-te possono divertirsi a
realizzare, nel tempo libero, un pannello
fotovoltaico partendo dai suoi
costituenti primi, facilmente reperibili sul mercato. Il risultato sarà
un
pannello certamente più economico di quelli in commercio. In linea di
principio
è possibile autocostruirsi vari pannelli, realizzando un impianto da 1
o 2 kWp,
tuttavia lo svantaggio di quest'approccio è che non si può beneficiare
degli
incentivi statali e del collegamento in rete per lo "scambio sul posto"
o la
vendita dell'energia. Quindi, può essere una buona idea per gli
impianti stand-alone
di abitazioni isolate o per avere una piccola fonte di
energia di
emergenza o per usi particolari. L'autocostruzione di un pannello
fotovoltaico
richiede, sostanzialmente, i seguenti passi: (1) Procurarsi il
materiale
necessario (vedi, in proposito, l'elenco nella tabella qui sotto e una
stima
del loro costo relativo); (2) Realizzazione della struttura
per alloggiare
le celle; (3) Montaggio delle celle al suo interno; (4) Collegamento
elettrico
delle celle.
Tabella 8. Il materiale necessario per l'autocostruzione di un pannello fotovoltaico.
Componente
Quantità
Prezzo
2011
Celle
policristalline 1,75 W da 3 x 6 pollici
40
pz
95,0
€
Lastra
di plexiglass
1
25,0 €
Lastra
di compensato + cornice
1
15,0 €
Colla
al silicone
1
2,0 €
Flussante
100
ml
10,0
€
Strisce
di ribbon
1
mt
1,5
€
Cavetteria
3
mt
1,5 €
Viti
in ottone
10
1,0 €
Connettore
bipolare
1
1,0
€
Vernice
e pennello
1
3,0 €
Stima spesa
totale
155,0 €
+ IVA
Da sinistra a destra: le strisce
di ribbon, le celle solari, il flussante.
.
Prima
di poter autocostruire un pannello
fotovoltaico, occorre capire come è fatto. Essenzialmente, un pannello
è un
modulo sigillato formato da tre strati: un supporto opaco, uno strato
di celle
fotovoltaiche e un vetro protettivo. Lo strato di celle solari è
composto da
singole celle connesse fra loro quasi sempre in serie per aumentare il
voltaggio complessivo, che viene scelto in modo da essere sui 15V,
compatibile
con una batteria a 12 V: una singola cella al silicio ha un voltaggio
inferiore
a 0,6 V (a 25°C e con irraggiamento solare standard), per cui la
maggior parte
dei pannelli fotovoltaici sono composti da 36 celle in serie. Ciò
corrisponde a
una tensione a circuito aperto di 21 V in condizioni standard e ad una
tensione
massima in condizioni operative - cioè a circuito chiuso con dei
carichi - di
circa 17 V. La quantità di corrente prodotta da un pannello dipende,
invece,
dalle dimensioni delle celle e dalla loro efficienza: con
un'inclinazione
ideale del pannello, in condizioni standard è
di 30-36 mA/cm2.
Un tipico pannello fotovoltaico
composto da 36 celle solari collegate in serie fra loro.
Iniziate verificando la
lunghezza dei 4 pezzi di
legno che devono fungere da bordi - in pratica, da cornice -
per lo spazio
che alloggerà le celle, ed eventualmente tagliateli opportunamente o
limateli
quel tanto che basta se sono troppo lunghi. Dopodiché, incollateli e
successivamente avvitateli al pannello di compensato. Create così un
alloggiamento poco profondo, altrimenti si potrebbero formare
ombreggiamenti
sulle celle da parte della cornice quando il Sole è angolato rispetto
al
pannello. Create dei piccoli buchi ai bordi dell'alloggiamento (sul
retro del
pannello, naturalmente, altrimenti vi entrerà la pioggia): essi
permetteranno
alla pressione dell'aria presente dentro il pannello di mantenersi
identica a
quella esterna e di far andar via l'eventuale umidità che
tendesse a
formarsi. Verniciate la parte esterna del pannello con una vernice del
tipo
usato per le barche, in grado di proteggere il legno dagli agenti
atmosferici,
dopodiché lasciate asciugare e passate una seconda mano di vernice.
La fase di realizzazione e
verniciatura della struttura in legno con cornice che alloggerà le
celle solari.
Disegnate con
la matita una griglia sulla struttura
stessa del pannello, in modo da avere un'idea di dove collocare
ciascuna delle 36 celle e da assicurarvi che vi sia un po' di spazio
fra una
cella e l'altra. Occorre poi collegare elettricamente in serie fra loro
le
celle fotovoltaiche, cioè collegare il polo positivo dell'una con il
polo
negativo dell'altra. In pratica, per unire le varie celle occorre usare
delle
strisce conduttrici di ribbon larghe 3 mm (si vendono in
rotoli da 1 mt) e
saldarle alle celle stesse. Per una corretta saldatura tra le celle e
le
strisce di ribbon, occorre stendere un leggero strato di "flussante"
(venduto in flaconi da 100 ml) sopra le strisce, attendere che asciughi
e
procedere alla saldatura. Inserite le celle nei punti prima trovati e
attaccatele al pannello con della colla al silicone. Maneggiare e
saldare le celle può risultare più difficile del previsto,
perché sono
fragilissime, perciò se vi fate sopra pressione si possono facilmente
rompere
(dunque, occorre averne qualcuna di riserva).
La fase del collegamento
elettrico delle varie celle fra loro, operazione effettuata con
l'ausilio di un saldatore.
Eccoci
arrivati alla parte conclusiva del nostro
lavoro. Innanzitutto, è necessario fare un buco sul retro del pannello
per
permettere ai due cavi elettrici provenienti dalla prima e dall'ultima
cella
fotovoltaica del pannello solare di uscire da esso. Si consiglia di
usare, come
due fili, un cavetto rosso per il polo positivo e uno nero per quello
negativo.
A questo punto si procede con l'effettuare un nodo ai fili
all'interno e
all'esterno del buco in questione, in modo che possano resistere a
qualsiasi
stress meccanico. Inoltre, li si ancora alla struttura del pannello e
si tappa
il buco con un po' di colla al silicone. Il passo successivo è
collegare i due
fili in uscita dal pannello a un connettore bipolare maschio adatto al
collegamento con il regolatore di carica. Infine, occorre verificare
con un
tester che il pannello produca energia (in pratica, si misurerà la
tensione a
circuito aperto) e, se tutto risulta a posto, si ricopre il pannello
con il
plexiglass, incollandolo alla struttura lungo i bordi con la colla al
silicone
sigillante.
Il
risultato finale: un pannello fotovoltaico in grado di
alimentare una lampadina o altri carichi di uso comune, oppure di caricare una batteria.
Approfondimenti: Nell'articolo
abbiamo affrontato il tema del fotovoltaico soprattutto dal punto di
vista scientifico, proponendo i principali esperimenti che si possono
svolgere su questo versante. Ma sono interessanti anche gli
aspetti tecnologici del fotovoltaico, da cui dipende la sua futura
diffusione di massa o meno. Oggi, nei laboratori di università e
aziende dei Paesi più avanzati si sta lavorando a numerose tecnologie
completamente innovative che faranno presto irrompere il fotovoltaico
nella nostra vita quotidiana: celle fotovoltaiche organiche (cioè
basate sul carbonio anziché sul silicio) in grado di funzionare molto
bene anche con le deboli luci artificiali, pannelli fotovoltaici a concentrazione (ne abbiamo fatto un rapido cenno), vetri fotovoltaici a concentrazione luminescente, pannelli fotovoltaici cilindrici,
solo per citarne alcune. Potrete trovare un'ampia e dettagliata
panoramica di queste tecnologie emergenti - e magari trarre spunto per
dei nuovi esperimenti - nel sito italiano Consulente Energia, dedicato soprattutto al fotovoltaico e al risparmio energetico.
Libri: Ed Sobey, Solar Cell and Renewable Energy Experiments, Enslow Publishers, 2011. Christine Taylor-Butler, Junior Scientists: Experiment with Solar Energy, Cherry Lake Publisher, 2010. Christine Taylor-Butler, Solar Energy: Super Cool Science Experiments, 2009. Gavin Harper, Solar Energy Projects for the Evil Genius, McGraw Hill, 2007. Anne Hillerman, Mina Yamashita, Done in the Sun: Solar Projects for the Children, Sunstone Press, 1983.
Ricerche in Internet: celle
solari, kit solare, giochi solari, effetto fotovoltaico,
fotorivelatori, fotometri, fotocolorimetro, densitometro a
trasmissione, spettro lampade solar cells, solar kits, solar
toys, photovoltaic effect, photodetectors, photometers,
photocolorimeter, trasmission densitometer, lamps spectrum
Mario Menichella, fisico, divulgatore scientifico e ideatore del laboratorio itinerante interdisciplinare SbalordiScienza, è disponibile a
compiere - su richiesta - spettacoli per il grande pubblico, come pure lezioni e/o dimostrazioni presso
scuole, musei ed altri organismi interessati. Per avere maggiori
informazioni, visitate il suo sito:
http://www.sbalordiscienza.it.
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