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GIOCATTOLI
Armando Borelli - raccoglitore e realizzatore dei giochi
Massimo Borelli - disegni a mano libera
Anna Busacchi - testi di descrizione dei giochi
Giorgio Carboni - inserimento in rete
Ottobre 1997
In molti paesi del mondo, i bambini non possono comperare dei giochi perchè costano troppo, quindi se li costruiscono. Anche in Italia, fino agli anni '60, giochi come questi erano molto diffusi. Poi, con il rapido aumento del benessere, i bambini hanno potuto procurarsi giochi nei negozi. Nel frattempo, le strade sono diventate sempre meno sicure e, anche a causa dell'aumento del traffico, i bambini non giocano più nella strada. Tutto questo ha portato alla scomparsa dei giochi di una volta. Infatti, i bambini di adesso non li conoscono più.
Il signor Armando Borelli, invece, si ricorda ancora dei giochi che faceva da ragazzo. Egli partecipa a feste paesane con una propria bancarella piena di giocattoli della tradizione popolare che egli fabbrica con le sue mani. Ancora oggi è possibile vederlo circondato da bambini entusiasti, mentre mostra loro il funzionamento dei suoi giocattoli. E' stato così che anche molti adulti hanno conosciuto il signor Borelli e sono rimasti incantati dai suoi giochi. Essi spesso riconoscevano gli stessi giocattoli che avevano usato da piccoli.
Ma perchè parlare di giocattoli in una galleria di attività scientifiche? Questi giochi sfruttano spesso principi fisici, sono basati su meccanismi, essi devono poi essere costruiti a mano. Tutto questo è di grande utilità didattica. Inoltre, i ragazzi si sentono molto motivati nel costruire dei giocattoli e imparano rapidamente molte tecniche e l'uso di molti attrezzi.
Questi giochi hanno anche altre virtù. Infatti, per i ragazzi che vanno a scuola, è necessario anche il riposo e lo svago. A tale proposito, questi giochi possono essere occasione di autentico divertimento e stimolano la ricerca di compagni di gioco. Il valore di questi giochi è dovuto anche alla povertà dei materiali con cui sono costruiti. Infatti è proprio a causa della loro semplicità che lasciano grande spazio alla fantasia e, i bambini, di fantasia ne hanno da vendere. Al contrario, i giochi moderni fanno tutto da soli, mettono un bambino da parte e gli lasciano solo il ruolo dello spettatore.
A causa del loro ruolo educativo, gli adulti hanno spesso rapporti conflittuali con i ragazzi. Questi giochi forniscono ai genitori e agli insegnanti una grande opportunità, quella di scendere nel mondo dei bambini, mettersi sulla stessa lunghezza d'onda dei propri figli e allievi per comunicare con loro nel modo più piacevole... giocando!
Gli insegnanti possono inoltre utilizzare questi giochi facendoli costruire dai propri allievi per addestrarli all'abilità tecnica, come introduzione alla meccanica, per descrivere dei principi fisici. Soprattutto nelle scuole superiori, si possono fare delle ricerche volte a descrivere i giocattoli e i giochi di squadra che si usano nel proprio ambiente. Il confronto delle varianti tecnologiche e delle regole con gli stessi giochi di altre zone geografiche ha un valore antropologico.
Parlare dei giocattoli mi da l'occasione di dire qualcosa a proposito dei giochi di squadra. Si tratta di giochi, quali nascondino, rubabandiera, etc., che si fanno fra gruppi di ragazzi. Questi giochi di squadra aiutano molto i bambini a crescere. Durante questi giochi, essi imparano a rapportarsi gli uni con gli altri e trovano degli amici. Un bambino che cresce davanti alla TV non si diverte certamente di più e, da adulto, probabilmente avrà dei problemi nel trattare con i propri simili. Il gioco, sia quello coi giocattoli che quello di squadra, ha una grande importanza nell'educazione dei ragazzi. Nella nostra società, che tende sempre più a organizzare la giornata e a sacrificare ogni cosa nella competizione per ottenere dai propri figli il massimo, occorre riconoscere il valore del gioco e assegnargli degli spazi, accanto a quelli dedicati alla scuola e allo studio.
Come si diceva prima, non solo i ragazzi, ma anche gli adulti rimangono incantati vedendo i giochi del signor Borelli in una fiera paesana. Anche Anna Busacchi, insegnante in una scuola media di Bologna, è rimasta colpita da quei giocattoli poveri, fatti a mano. Essa ha pensato che sarebbe stato utile raccoglierli in un libro allo scopo di mantenerne il ricordo. E' nato così il libro che abbiamo indicato in bibliografia. Il testo è di Anna, le figure sono del figlio di Borelli, Massimo, ovviamente i giochi descritti sono quelli realizzati da Armando Borelli. Questo articolo di Fun Science Gallery mostra solo alcuni dei giochi descritti dal libro e, di conseguenza, solo una parte del testo e delle figure. Ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato a questo lavoro, in particolare il signor Armando Borelli per la sua opera di raccolta e di ricostruzione dei giochi di una volta. Ringraziamo inoltre la casa editrice Cappelli Editore per la sua gentile autorizzazione a utilizzare questo libro a favore dei cyber-lettori. (Giorgio Carboni)
Si tratta di piccoli cilindri in legno, con bordi rialzati per trattenere il filo del cotone di cui sono avvolti. Un foro all'interno serve per infilarli sulle macchine da cucire. Supporti, oggi quasi introvabili, per avvolgervi il filo da cucito. In ogni casa si cuciva, pertanto capitava spesso di averne a disposizione e - viste le ampie possibilità di riutilizzo - non venivano certo gettati via. Se li ricordano i bambini di ieri che ne ricavavano diversi giochi, tutti notevoli per l'ingegnosità delle soluzioni tecniche.
Nelle nostre campagne era comune l'uso di trasmettere di padre in figlio piccoli trucchi che trasformavano meravigliosamente i piccoli rocchetti in qualcosa di molto più importante (trottole, biciclette, trattori, ecc.). Il trattore è un classico tra queste piccole cose e merita un'attenzione particolare (figura 1). E' una macchina semovente alla quale la fantasia del bambino può attribuire valenza di trattore o di carro armato, a seconda delle inclinazioni personali, mentre la tecnica di costruzione resta la stessa.
Indicazioni tecniche
Occorrono uno o più rocchetti, un po' di cera o una scheggia di sapone, un piccolo chiodo
(non indispensabile), due fiammiferi o due legnetti tagliati: uno più lungo (circa due
volte il diametro del rocchetto), e uno più corto.
Con un temperino si incidono piccoli denti sui bordi del rocchetto (figura 2) in modo da
simulare i cingoli del trattore.
Si prepara poi un piccolo disco forato che fungerà da frizione utilizzando la cera o il
sapone. Ovviamente la cera va lavorata a caldo, mentre il sapone richiede molta
delicatezza perchè si rompe facilmente.
E' ora il momento del montaggio. Si infila l'elastico attraverso il foro centrale del rocchetto e lo si trattiene da una parte con il legnetto o il fiammifero più corto, fissato a sua volta in una leggera scanalatura o dal piccolissimo chiodo. Dall'altra parte sarà inserito il fiammifero più lungo, interponendovi la frizione.
La macchina può ora funzionare: basta roteare il legnetto più lungo (figura 3) in
modo che l'elastico si attorcigli su se stesso. Così si carica, immagazzinando energia
che sarà poi liberata lentamente grazie all'azione frenante della frizione. Il legnetto
più lungo, appoggiandosi al terreno, spingerà avanti il mezzo. Piano piano, lo si vedrà
muoversi ed arrampicarsi su piccole salite.
Al modello base, possono essere collegati altri rocchetti che si muoveranno con ingegnosi
sistemi di ingranaggio (figura 4).
Altro esempio di semplice ingegneria applicata alla locomozione:
materiale
povero e del tutto naturale, per costruire una "macchina" che si muove da sola.
La chiameremo "filobus" per via del lungo filo collegato all'asta (figura 5). In
realtà la consuetudine di costruire questo tipo di mezzi è probabilmente precedente
all'introduzione di quel veicolo nelle nostre città e, forse, l'idea è nata più per il
gusto della sperimentazione meccanica che non per imitazione. Non è poi detto che la sua
origine sia tutta cittadina.
Quanta ricchezza di invenzione e quanta fantasia racchiuda questo piccolo oggetto lo si può misurare nell'effetto di autentica meraviglia che immancabilmente si produce in chi assista a un collaudo o partecipi alla sua costruzione.
Indicazioni tecniche
Occorrono: due coppie di ruote ottenute segando un tronco o con materiale di risulta,
un'assicella o un pezzo di legno da cui ricavare la sagoma del mezzo e un tronchetto
tagliato a metà da adibire a corpo anteriore della macchina, con un foro per accogliere
la canna (figura 6). Inoltre: una canna di fiume o di bambù, oppure una talea di
castagno. Un bastoncino con funzioni di asse della ruota posteriore, alcuni chiodi e dello
spago. Le ruote posteriori (motrici) saranno fissate al proprio asse con chiodi in modo da
essere a lui solidali e quindi muoversi insieme (figura 7).
Al centro dello stesso asse una scanalatura praticata con il temperino o con la roncola alloggerà il filo arrotolato, mentre un piccolo ferro terrà unito l'asse delle ruote al corpo della macchina, pur permettendogli di girare (figura 7). Si fissano poi le ruote anteriori con chiodi, in modo che queste girino liberamente. Infine si sistema la canna al suo posto, collegandola allo spago che, a sua volta, sarà avvolto attorno all'asse posteriore. Srotolandosi con più o meno forza, a seconda della lunghezza e dell'elasticità della canna, lo spago imprimerà il movimento alla macchina. |
Molto più semplice del precedente è l'esecuzione di questo "mezzo da acqua" (figura 8). Motoscafo se si dà importanza alle ambizioni di velocità, "battello" se l'attenzione si concentra sulle pale in movimento. In realtà si tratta di un piccolo gioco con il quale i bambini di ieri - un po' in tutta Italia - hanno tentato di cimentarsi con un elemento (l'acqua, appunto) che riserva non poche sorprese.
Indicazioni tecniche
Occorre un pezzo di legno compensato o un'assicella di spessore sottile, un seghetto e
qualche elastico (figura 9).
Dopo aver disegnato la sagoma sul legno, si procede al taglio utilizzando un seghetto da
traforo.
Per una maggiore stabilità del mezzo si può fare anche la deriva. Uno o più elastici
tesi nell'incavo appositamente preparato, saranno il "motore" che imprimerà
movimento alle pale. Occorre avvolgere l'elastico servendosi delle pale, calare in acqua
il mezzo e lasciarlo libero di partire.
L'idea di trasportare e di essere trasportati nasce spontanea in ogni bambino. Per realizzarla è naturale ricorrere a qualcosa di simile ai mezzi usati dagli adulti. Certamente i bambini hanno giocato - sempre e dovunque - con carri e carretti fatti, più o meno, come quelli dei loro padri. Parallela alla grande storia dei mezzi di trasporto corre quindi una piccola storia - non documentata - delle loro imitazioni spesso costruite dai bambini stessi? Proponiamo due esempi di questi mezzi che ci pare possano essere una piccola testimonianza di certe differenze tra città e campagna.
Il carro campagnolo Chiamiamo così questo interessante esemplare che i figli dei contadini delle colline bolognesi si costruivano prima dell'ultima guerra (figure 10 e 11). L'ideazione e la costruzione di questo mezzo richiedono abilità tali che solo i ragazzi più grandi, se non gli adulti, potevano cimentarsi con successo in questa prova. |
Poi l'uso poteva essere misto di gioco e lavoro, per il trasporto di fascine o di piccole merci, perchè non era così separato il mondo degli adulti da quello dei bambini e anche questa poteva essere un'occasione per imparare a lavorare. Ma soprattutto sarà stato una macchina ideale per essere trascinata sui sentieri in salita, per poi scendere con rapide corse anche per strade non asfaltate.
Indicazioni tecniche
Il materiale è interamente costituito da legno; si tratta solo di avere occhi allenati a
distinguere, tra rami e rovi, i "pezzi" utilizzabili per questo scopo (figura
12).
Innanzi tutto una forcella di legno duro e robusto, tagliata a misura per fare il telaio.
Poi segmenti di tronco perfettamente circolare da cui segare due coppie di ruote: quelle
anteriori, più piccole, e quelle posteriori. Infine assicelle, chiodi e poco altro
materiale di risulta.
Esecuzione. Bisogna scegliere due bastoni robusti validi come assali delle due coppie di
ruote, che vanno fissate bene, magari con una "spina" in legno o in ferro.
Grasso di scarto del maiale poteva servire come lubrificante per fare scorrere meglio le
ruote.
Ora si può fare appoggiare la forcella sugli assali cercando il punto migliore per
fissarla (le ruote più grandi dalla parte biforcuta).
Attenzione al gioco di sterzo
ottenuto con un perno incernierato in modo da tenere sovrapposti ma indipendenti i due
bastoni.
Rimangono ora solo le finiture:
- piccole traverse in legno sulla forcella usate come sedile;
- una corda collegata agli estremi dell'assale anteriore per voltare a destra o a
sinistra;
- un fermo per i piedi che dà stabilità al pilota;
- elementi ornamentali aggiunti dalla fantasia del costruttore.
Carrioli di città I ragazzi di città avevano condizioni ambientali ovviamente diverse e, soprattutto
dopo la guerra, potevano facilmente accedere a "scarti" pregiati come i
cuscinetti a sfera.
|
Indicazioni tecniche
Quattro cuscinetti a sfera, legni (assi o pezzi interi) e chiodi per l'assemblaggio. Lo
schema di costruzione non è molto diverso dal carro campagnolo: le ruote sono sostituite
dai cuscinetti e scompare la forcella. Il risultato è un mezzo basso, adatto a
spericolate corse in pendenza.
Anche per i carrioli esistono numerose varianti (con o senza sterzo, con o senza
schienali, uno o più posti, ecc.).
Ecco un altro modo di utilizzare l'eclettico rocchetto creando un'improbabile "bicicletta" che ci riporta ai tempi in cui possederne una vera era un lusso riservato a pochi bambini. E quando il tifo per Binda o Guerra e poi per Coppi o Bartali divideva gli animi, anche così, con un po' di fantasia e di ingegnosità, si poteva partecipare agli entusiasmi generali, inventando un surrogato interessante anche se non del tutto competitivo, della vera bicicletta.
Indicazioni tecniche
Servono un rocchetto, un filo di ferro e un pezzo di corda.
Si fa passare il filo di ferro per il foro del rocchetto e poi lo si sagoma come se fosse
un manubrio di bicicletta.
La corda deve avere una lunghezza pari circa alla gamba del bambino e deve terminare con
due anelle atte ad infilarvi il piede, a mo' di pedale (figura 14).
L'oggetto che descriviamo ora nasce dall'incontro tra l'inventiva dei bambini e un
prodotto industriale diffuso tra noi da oltre un secolo: il filo di ferro. Disponibile sia
nelle campagne, dove veniva ampiamente impiegato per usi agricoli, sia nelle botteghe
artigiane delle città, faceva bella mostra di sè quando, nuovo, era appeso a un chiodo
in matasse proibite ai ragazzi.
Come materiale di risulta invece, tagliato e contorto, era facilmente reperibile un po'
dappertutto e riutilizzabile con appropriate manovre. Numerose sono le sue possibilità di
impiego: ne proponiamo una in uso presso i bambini degli anni trenta e, più avanti, fino
al secondo dopoguerra. Un'interessante mostra tenuta a Torino nel 1990 ha proposto oggetti
del tutto simili a questi, elaborati in forme quasi artistiche ad opera di bambini del
terzo mondo.
Indicazioni tecniche
Il filo di ferro dovrà essere grosso, come quello usato in pianura per sostenere le viti.
Se è più sottile si rimedia aumentando i "giri": l'importante è avvolgerlo e
fissarlo bene.
Si inizia da una ruota con raggi, collegata con il suo asse che passerà attraverso a una
forcella o a un semplice bastone. Poi l'altra ruota, naturalmente.
All'altro estremo del bastone troviamo il volante. In qualche punto un gancio o qualcosa
di simile potrà sostenere scarpe e cartella (figura 15). Buon viaggio, Valentino!
Le varianti nella realizzazione di questo mezzo possono essere infinite:
- versione a quattro ruote;
- lo "schiacciasassi" (altro utilizzo delle lattine);
- la "Ferrari" (con le ruote in gomma), suggerita forse dalle emozioni della
Mille Miglia;
- la macchina fatta con le scatoline delle pastiglie.
C'è chi la chiama fionda, chi mezzafionda, sfrombola, strombola o in tanti altri modi ancora. Nei cortili bolognesi si chiama tirino. Questo richiama immediatamente l'immagine del monello, del birichein che tenta di colpire i nidi degli uccelli o mira ai vetri di qualche malcapitato. Per impedire o punire queste biricchinate, i tirini erano spesso sequestrati dagli adulti. Era tuttavia abbastanza facile costruirsene uno nuovo e possederlo accresceva la sicurezza personale nelle piccole guerre di cortile.
Indicazioni tecniche
Ci vuole un rametto biforcuto (a "Y") di legno molto duro e robusto come la
"sanguinella" che butta facilmente in due. Con le forbici si taglia la gomma
della camera d'aria forata di una bicicletta: elastici facilmente reperibili per risolvere
infiniti problemi.
A un piccolo pezzo di pelle tagliato in ovale vengono fissati gli elastici grossi, a loro
volta fissati agli estremi della forcella con elastici più piccoli o con spago. Il gioco
è fatto (figura 16).
Ricordiamo un altro divertimento assai in voga tra i ragazzini degli anni Cinquanta, quelli stessi che si costruivano i più sofisticati fucili con gli elastici o gli archi con gli ombrelli. Stiamo parlando delle cerbottane fatte con lunghe canne provenienti da materiali di risulta (ideali le canne di alluminio dei lampadari) che "sparavano" piccoli oggetti (palline di carta, pezzetti di terra, creta) e soprattutto frecce usando, come propulsore, la forza del proprio fiato.
Indicazioni tecniche: Un discorso a parte meritano le "frecce" che venivano sapientemente preparate a decine, e sparate a raffica in guerre di cortile. La freccia è dunque un cono molto assottigliato ottenuto attorcigliando attorno a un dito strisce di carta che venivano appositamente tagliate in mazzetti regolari trattenuti alla cintola, pronti per l'uso (figura 18). Ottenuta la freccia la si fissava con la saliva facendone roteare la punta fra le labbra. |
E' un gioco che è stato proposto anche industrialmente in edizioni più
sofisticate. Nelle versioni popolari di cui ci occupiamo esiste in numerose
varianti "povere" tutte fondate sul medesimo principio: si "carica" un doppio
filo trattenuto alle estremità dalle mani, avvolgendolo su se stesso per mezzo
di un oggetto posto a metà della sua lunghezza. Poi si esercita una trazione
allargando le braccia: ciò imprime un movimento rotatorio al frullino (in
pratica lo fa girare o, appunto, frullare). Allargando e avvicinando
ritmicamente le mani, il frullino gira velocemente, secondo l'abilità del
manovratore. L'effetto più spettacolare
dipende anche dalla bellezza e complessità dell'oggetto rotante. Il frullino che
proponiamo impiega come oggetto rotante un bottone. Occorre sceglierlo grosso, per
esempio, un bottone per cappotti (figura 19).
Imprime il movimento a un'elica per mezzo di un volano azionato da una corda. La carica è data dal filo arrotolato attorno all'ultimo segmento del marchingegno (figura 20). Se l'elica è ben fatta librerà in aria con giusta soddisfazione per il "pilota".
Chissà perchè sono in molti a chiamarlo "telefono senza fili", mentre è
proprio un semplice filo teso tra due barattoli a farla da protagonista, insieme agli
onnipresenti busslut (bussolotti), in questo gioco noto e diffuso in tutte le regioni
italiane.
Nella memoria dei più anziani si confondono ricordi legati ai successi di Marconi ed alle
sue trasmissioni di notizie via etere. Non dobbiamo poi dimenticare che già negli anni
Trenta il telefono aveva una sua diffusione, ancorchè limitata alle famiglie più
abbienti. Di qui il desiderio di possedere uno strumento così misterioso e affascinante,
costruito con quello che c'era a disposizione.
Indicazioni tecniche |
Servono solo un bastoncino di legno con una scanalatura a metà, per farci girare la corda, e la corda stessa (figura 22). Le mani socchiuse a conchiglia vengono accostate alle orecchie insieme alla corda (figura 23). Dall'altra parte, un bambino tiene il filo teso e fa ruotare il bastoncino. Il suono così prodotto non è percepibile all'esterno, ma trasmesso e amplificato dalle mani che fanno da cassa di risonanza produce l'effetto di mitraglia o di qualsiasi altra cosa vorrà riconoscervi chi si presterà al gioco.
I tappi a corona delle bibite potevano ospitare i ritratti dei campioni di ciclismo
tratti dalle citate figurine ed erano usati come segnalini in gare su complicati percorsi
disegnati con il gesso lungo i marciapiedi e all'interno dei cortili.
Il colpo assestato per far procedere il "corridore" si chiamava cricco e
il gioco procedeva secondo una successione prestabilita. Ovviamente vinceva chi tagliava
per primo il traguardo.
Quelle povere di terracotta verniciata o quelle bellissime di vetro variegate all'interno in tutti i colori erano valori da possedere, merce di scambio e strumenti di gioco per gare su piste di sabbia o percorsi di altro genere.
Anna Busacchi, Alla ricerca dei giochi "perduti", Cappelli Editore (Bologna, 1992)
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